I premi valgono poco, sono più che altro simbolici (Oscar, Nobel...)

Ma quelli che ci prendiamo da soli, con fatica, nella vita... eccome se fanno bene!

C’è stato un periodo in cui prendevo tutto sul personale.

Un commento ironico, uno sguardo storto, una battuta fuori posto… e subito scattava la voce dentro: “Forse ho sbagliato. Forse ho detto troppo. Forse sono io il problema.”

Solo che non era introspezione, era autolesionismo mascherato da autocritica.

Stavo permettendo a chiunque di entrare nel mio spazio mentale come in un supermercato aperto h24.

E il risultato? Ero stanco, irritabile, sempre in difensiva.

Non vivevo più per quello che volevo fare, ma per evitare di dispiacere a qualcuno.

Finché non mi sono accorto di una cosa semplice e brutale:

non era il giudizio il problema, ma da chi lo accettavo.

Il mondo è pieno di persone che urlano per sport.

Gente che vive di indignazione, che ha scambiato la rabbia per un hobby.

Sui social soprattutto: sembra che il gioco sia chi insulta più forte, chi interpreta male per primo.

E io lì, a spiegare, a chiarire, a difendermi come se la mia pace dipendesse da loro.

Poi ho iniziato a guardare meglio.

Ho notato che chi giudicava di più era anche chi combinava di meno.

Chi passava le giornate a scrivere commenti velenosi era anche chi non rischiava nulla di suo.

Ho capito che le persone che costruiscono non hanno tempo per distruggerti.

Da lì ho iniziato a cambiare filtro:

chi non ha il coraggio di esporsi, non merita di giudicare chi lo fa.

Il vero segno di maturità non è “non giudicare più nessuno”.

È scegliere con cura chi lasci giudicarti.

Non puoi spegnere il giudizio. È un riflesso biologico.

Ma puoi decidere quali giudizi ti attraversano e quali ti restano addosso.

Molte critiche parlano dei bisogni di chi le fa, non dei tuoi errori.

Ogni volta che qualcuno ti etichetta, in realtà ti sta raccontando le sue mancanze.

È un’emozione travestita da verità.

E sai la parte ironica?

Mentre ti arrovelli su cosa pensano gli altri, la maggior parte non sta pensando affatto a te.

È il bias dell’illusione della trasparenza: credi che tutti ti leggano dentro, ma nessuno lo fa davvero.

Liberarti da questa paranoia è come toglierti cento chili di dosso.

In un mondo che ti bombarda di rumore, ignorare non è disinteresse, è igiene mentale.

Eleganza strategica, la chiamo così: ignorare i futili, proteggere l’essenziale.

Vale anche per te.

Ogni volta che ti chiedi “ma cosa penseranno?” stai cedendo il volante della tua identità.

Il conformismo è naturale — siamo animali sociali, dopotutto — ma se non lo tieni a bada ti prosciuga.

È l’effetto branco: tutti fingono di approvare per non sembrare strani, e finiamo a obbedire a idee che non ci convincono nemmeno.

Ecco tre filtri mentali che ti tengono fuori da questo circo:

1️⃣ Filtro fonte: se non è competente, la sua opinione pesa zero.

Chi non ha mai fatto ciò che critichi, non può insegnarti come farlo meglio.

2️⃣ Filtro contesto: se nasce per visibilità e non per verità, non è per te.

Fuori dagli algoritmi c’è più realtà e meno urla.

3️⃣ Filtro scopo: se non ti avvicina alla tua “prossima cosa giusta”, salta.

Come dicono nei programmi di recupero: fa’ la prossima cosa giusta.

La paura del giudizio non si elimina con la forza di volontà.

Si scioglie quando smetti di fissare le tribune e torni al campo.

Agisci anche se qualcuno ti guarda male.

Se vuoi capire come ignorare senza diventare indifferente,

come gestire il giudizio senza spegnerti,

e come trasformare la tua attenzione in una forma di libertà interiore —

ho appena pubblicato un nuovo video che va dritto lì.

👉 Il potere di ignorare le persone sbagliate (e vivere senza il loro giudizio)

Guarda il video

Ci leggiamo presto,

Giacomo

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